I Feldmann segnano il ritorno della buona musica ricollegabile ad una certa scena catanese. Il front-man Massimo Ferrarotto lo ritroviamo al tempo tra le file di progetti come Loma, Portorico (Paola Maugeri vi dice niente?) e Cesare Basile mentre il fido scudiero Iacobacci militava tra le fila dei Tellaro: in realtà il duo siciliano non è all´esordio, Immaginary Bridge è già il secondo lavoro, il primo, passato un tantino inosservato, s´intitolava Watering Trees (2006); come da noi espresso all’epoca dell’esordio, siamo ancora nei territori desolati di un folk blues immaginario in cui i Feldmann viaggiano e condiscono in maniera più convinta gli stessi ingredienti per una pozione sciamanica, un suono trasversale e ancora affascinante.
L´anima del disco è costantemente rinchiusa nella penombra, esprime poche aperture da quello schema sotterraneo, sempre tenuto in chiaroscuro. Al di fuori di qualche ballata dall´accento più rudimentale, come "Then She Came", il folk dei due è sempre mantenuto in un limbo melodico essenziale, scarno e post-moderno, in cui banjo, mandolino, chitarra acustica ne tracciano le coordinate di provenienza, a cui si aggiungono regolarmente beat elettronici e atmosfere sonore sintetiche ("Share Your Time"), dipingendolo sempre come un essere strano e ambiguo che attraversa esperienze sonore di confine molto diverse, dalla psichedelia, al noise, senza mai tralasciare l´elemento rock, fatto di chitarre languide ("Love And Anger") a cavallo tra Califone, Black Heart Procession e Hugo Race, quest´ultimo non a caso marchia l´intero lavoro in sede di produzione.
Immaginary Bridge rappresenta un tentativo di riallacciarsi ad un´identità musicale che parli al mondo della musica alternativa internazionale, il lavoro in questione potrebbe tranquillamente essere equiparato a percorsi internazionale e convincenti di band come Uzeda e Jennifer Gentlle, se solo avesse avuto il giusto slancio. Se queste sono le premesse e non è debbio che un giorno questo sogno si avveri.