Edoardo Bennato Pronti a salpare
2015 - Universal
Pronti a salpare è un disco autenticamente rock, venato da sangue blues e mischiato, come nella sua migliore tradizione, da altri linguaggi musicali apparentemente agli antipodi che s’intrecciano sotto la direzione di una voce che suona come quella di quarant’anni fa. Quella che la Ricordi bocciò perché troppo sgraziata dopo Non farti cadere le braccia, l’esordio in ellepì del 1973 del musicista di Bagnoli.
Nel suo impianto lirico troviamo Raffaele Cascone (Venderò, ricordate?), Lucignolo, l’isola che non c’è, Napoli (anzi, Bagnoli, anzi viale Campi Flegrei 55), Zero in condotta (che fece il suo esordio su Kaiwanna giusto trent’anni fa) che nel nuovo impianto narrativo s’impongono come dei tòpoi che ci raccontano cosa è cambiato e cosa è rimasto tremendamente uguale di questa terra che respira l’odore dell’occidente che ammortizza facilmente il superfluo ma che ancora non è riuscita a capire di essere crocevia di una disperazione più cosmica.
C’è la sua storia in deliziosa chiave talking blues (A Napoli 55 è ‘a musica); la spinta a entrare in un nuovo ordine di idee per ridurre la distanza tra privilegio e miseria (la title track); l’amara consapevolezza che se questi tempi hanno azzerato il sogno di tendere a un’utopia allora è tempo di uncinare la realtà, magari modificandola nel suo profilo più robotizzato (Io Vorrei che per te). C’è il sempreverde uso della parola sussurrata che crea maceria più di un bazooka (la rossiniana La calunnia è un venticello), la politica come show stanco ma sempiterno (Il gran ballo della Leopolda), la sempre pagante ipocrisia del sembrare e la libertà di essere se stesso come primo motore (Niente da spartire), il report amaro, disincantato e toccante su Napoli 2015 (l’ipnotica La mia citta).
E c’è, scelta di chi scrive, una coinvolgente ballata rock in pura aria springsteeniana, battito ritmico che continua a rapire anche dopo cento ascolti. È Povero amore, scritta (una delle due in coppia col fratello Eugenio). L’ex punk (come fu etichettato agli esordi dalla stampa) chiude con la divertente (e di nuovo rossiniana) Non è bello ciò che è bello, scritta in treno per Luciano Pavarotti che gli aveva chiesto di poter cantare per una volta una canzone allegra, ma purtroppo mai cantata dal Maestro di Modena per divieto della Decca.
Prodotto da Brando e con la mano di Stefano Giungato, fonico di origine pugliese ma con le ossa fatte negli States, terra di richiamo che non smette di alimentare il sangue e l’anima di questo autore di canzonette. Capaci di volare (o navigare, fate voi) nel tempo senza polvere e ruggine. Dal Golfo al Mississippi.
Corrado Ori Tanzi lo trovi anche su:
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