Ben Harper Live at the apollo
2005 - Virgin
Sarà per le suggestioni storiche di cui è carico un teatro come l’Apollo di Harlem, un vero e proprio tempio della musica nera, sarà perché obiettivamente l’età dei Blind Boys of Alabama ha reso il concerto ancora più unico, comunque questo è un live che ha tutte le ragioni di essere testimone di un evento.
Ben Harper sfrutta finalmente la presenza dei Blind Boys of Alabama per tornare a suonare e a cantare un soul credibile, riconvertito almeno per ora a quella musica (nera) di cui erano intrisi i suoi primi dischi.
Già l’inizio con la chitarra che da sola introduce con sobrietà a “Well, well, well” è un segnale di un riavvicinamento al blues. Man mano poi il concerto procede si constata come Harper torni a mantenere un profilo raccolto, senza cedere alle tentazioni del pop o di un rock incattivito: qua le sue interpretazioni lasciano spazio ad una voce ora delicata ora più slanciata, pronta a cercare e a godere del sostegno dei Blind Boys.
Splendida è “I want to be ready” per la forza con cui le voci si impogono, accompagnate dalle note gravi di un piano e da una batteria che ne marcano il passo.
Non tutte le tracce raggiungono la stessa altezza, ma c’è comunque un interplay tro voci e strumenti che porta volentieri al call & response: le percussioni, il basso e le tastiere degli Innocent Criminals tornano finalmente a servizio di un minimo di blues e di buone dosi di soul, gospel, funk e reggae. Anche la chitarra di Ben Harper arriva a suonare ispida, carica di fuzz, con qualche assolo che ricorda i bei tempi andati.
Lo spettacolo è calibrato, non scade in pose o manfrine, neanche quando i protagonisti incappano (forse di proposito) in un attacco fuori tempo in “Mother pray” poi ripetuta con tanto di battimano. In più di un episodio si ha la sensazione di assistere ad una celebrazione di un gospel volto a provocare la partecipazione dei presenti: gli slanci delle voci sono mirati al medesimo tipo di elevazione sia quando si raccolgono su sé stesse sia quando si impongono veementi. Il miglior esempio è una “I shall not walk alone” che comincia delicata con l’organo e la voce di Harper per poi farsi trascinare dall’interpretazione rauca di Jimmy Carter.
Anche senza l’accompagnamento dei Blind Boys of Alabama, Ben Harper convince con una toccante “Where could I go”, che speriamo valga come promessa di un suo definitivo ritorno di fede.
Alla fine gli oltre dieci minuti in crescendo di “Satisfied mind” sono la prova di quanto la serata sia stata importante per Ben Harper e per i Blind Boys of Alabama. Come altrimenti non poteva essere.