Tim Berne & Snakeoil

live report

Tim Berne & Snakeoil Milano / Teatro Manzoni

08/03/2015 di Vittorio Formenti

Concerto del 08/03/2015

#Tim Berne & Snakeoil#Classica#Musica da camera Musica contemporanea

Tim Berne & Snakeoil

feat. Sentieri Selvaggi Ensemble dir. Carlo Boccadoro
 

L’iniziativa “Aperitivo in Concerto” volge purtroppo al termine con questa penultima performance di Berne e gli Snakeoil integrata con la collaborazione dei Sentieri Selvaggi di Carlo Boccadoro; peccato, ma ci si consola con l’assoluta qualità della proposta confermata senza alcuna riserva dal concerto in questione.

Gli artisti coinvolti sono ben noti e non ci si dilunga in ricapitolazioni di cronaca; quello che va invece sottolineato è il senso artistico dell’iniziativa che rappresenta un progetto organico di sperimentazione ed avvicinamento alla convivenza, per non dire sinergia, tra musica contemporanea scritta ed improvvisata.

Per cogliere bene il senso di questo sforzo, lodevolmente compiuto dai due leader delle formazioni sul palco, occorre superare un paio di pregiudizi. Il primo è quello che porta a ritenere la musica contemporanea come cervellotica, impenetrabile ed autoreferenziale; è certamente una manifestazione intellettuale (il che non è un male visto lo scarso uso che oggi si tende ad esercitare dell’organo che distingue l‘uomo dalle bestie), richiede sforzo e disponibilità ma appaga molto se se ne coglie lo sforzo espressivo. Il secondo è quello di considerare l’improvvisazione come caos ed anarchia; nemmeno i padri del free jazz autorizzano a questa boutade da bar. L’impro, nella migliore delle sue concretizzazioni, è libera comunicazione , sintesi di conoscenze trasmesse non tramite uno schema formale preordinato ma grazie a un ordine creativo (sovente rigoroso) di idee.

Se si riesce a rimuovere la frequente banalità per cui la musica nello specifico, ma anche l’arte in generale, è solo espressione di “anima e core” allora, forse, si fa un passo avanti nel pellegrinaggio culturale che dovrebbe accompagnarci in questa valle senza versar troppe lacrime.

Berne & C. sono ottimi accompagnatori su questo percorso. I primi due brani sono presentati dal quartetto con schemi formali precisi. Esposizione del tema, generalmente breve nella miglior tradizione di Coleman, in unisono ostinato. Poi i pezzi proseguono col riff sostenuto dal piano (Matt Mitchell ha ricordato sovente Keith Tippet) e l’intervento dei clarini di Noriega (una vera eccellenza) e, successivamente, del sax di Berne. Qui il tema è sviluppato, usato e stravolto ma comunque sempre riconoscibile. Il drumming di Ches Smith, ai vertici dello strumento e dell’apertura come sensibilità musicale, è una voce equipollente alle altre con grande capacità di usare tutte le risorse percussive a disposizione e soprattutto di gestire le dinamiche a sostegno, passando dai pianissimi ai fortissimi senza discontinuità. L’organizzazione del combo non è quella tradizionale di sezione ritmica e solisti che eseguono chorus più o meno acrobatici; tutti percorrono una linea, gli strumenti vengono lanciati dopo l’esposizione e si ritrovano in “eufonia” quando concludono il pezzo.

L’improvvisazione, presente soprattutto nei momenti individuali, diventa esposizione e rielaborazione; la logica con la parte scritta è mantenuta dando una coerenza ed una solidità ai brani davvero rimarchevole. Seguire le evoluzioni del quartetto risulta quindi quasi naturale e illuminante.

Il terzo brano vede l’ingresso dell’ensemble Sentieri Selvaggi, una formazione dall’impianto cameristico composta da flauto, clarinetto, vibrafono, pianoforte, violoncello e violino (per i nomi degli artisti si rimanda al programma). Il pezzo è una composizione di Berne (Cornered Duck) e, ad avviso di chi scrive, ha il limite di non sfruttare appieno le potenzialità della collaborazione. Il vibrafono e gli archi sostengono alcuni passaggi, tuttavia le voci principali sono solo quelle del quartetto mentre gli altri intervengono nei “tutti” e nei “crescendo” limitando così il contributo dei Sentieri ad un arricchimento timbrico e cromatico. In sostanza si tratta di un momento, pur pregevole, analogo ai due precedenti in cui l’organico allargato non spara molte cartucce aggiuntive. Sembra sostanzialmente una coloritura di un pezzo di Tim.

Tutt’altra storia nell’episodio finale, una composizione di Boccadoro (Snakes) sviluppata specificamente per il progetto che si rivela davvero efficace.

Si tratta di una partitura in sei movimenti in cui alle parti scritte si alternano momenti di libera improvvisazione sia come esecuzione che come posizionamento degli interventi, con una conseguente flessibilità strutturale.

Già dall’Adagio iniziale si coglie la coerenza delle parti, conseguenza della lucida struttura di cornice che la composizione propone. Inizialmente le sfumature impro sono appannaggio principalmente di Berne, tanto che l’impressione è quella di un concerto per piccola orchestra e sax. Poi la tessitura si arricchisce nel secondo movimento, decisamente rilevante (viene anche riproposto nell’unico bis) per le variazioni di tensione, e nel ricorso a momenti di rondò e fugati che poi convergono sempre in ricongiunzioni molto chiare, dando un limpido esempio di cosa si intende in termini di rapporto tra libertà e programmazione.

Il momento finale propone accenti drammatici; note basse, lunghe a all’unisono marcano l’incedere con un drumming in rubato e un ostinato degli archi che poi passa alle altre voci. L’idea di far girare il riff su tutti gli strumenti è assolutamente originale nel suo effetto circolare che si chiude con un fortissimo all’unisono. Jazz astratto o contemporanea improvvisata? Non è possibile separare le due dimensioni e il lascito di Berne / Boccadoro & C si conferma lucido, coinvolgente e tutt’altro che scontato.

Strumentisti eccellenti, idee di avanguardia e fratellanza artistica: decisamente pollice in alto!


Fotografie splendide, per gentile concessione di: Roberto Cifarelli