Marta Sui  Tubi

interviste

Marta Sui Tubi Giovanni Gulino ci racconta LoStiloOstile

17/05/2016 di Manuel Maniaci

#Marta Sui Tubi#Italiana#Alternative

Con alle spalle tredici anni di carriera, i Marta sui Tubi sono una delle Band con più seguito di pubblico nel panorama indipendente italiano. Per il loro sesto album in studio sono ritornati all’originaria formazione a tre, senza perdere minimamente l’energia e la creatività che li contraddistingue. De LoStileOstile abbiamo parlato con Giovanni Gulino, cantante a autore di buona parte dei testi della band.
Mescalina: Con Lo stile ostile siete ritornati alla formazione a tre ma, in realtà, non è un vero e proprio ritorno al passato, in quanto ci sono delle grosse differenze con gli album che avevate già composto in trio. Che cosa è cambiato dagli esordi in trio, a quando poi siete passati in cinque, fino a questo ritorno in tre?

 

Giovanni: È cambiato tutto. Nel senso che sono passati più di dieci anni e quindi è cambiato un po’ il nostro modo di suonare, di concepire la musica. Sono cambiati i nostri gusti. Come hai detto bene tu, siamo tornati in tre ma è un trio molto diverso da quello degli esordi. Cioè, se metti a confronto l’ultimo album con il primo o il secondo disco dei Marta sui tubi, noti che sono pianeti completamente diversi. Non siamo tornati in tre per rifare Muscoli e dei o C’è gente che deve dormire ma semplicemente per recuperare e valorizzare un sound che negli anni ci aveva caratterizzato molto e che ci dava un suono molto particolare, unico probabilmente nel panorama italiano, cioè senza il basso, con una chitarra che spinge parecchio, una ritmica minimale e la mia voce. Quindi, diciamo che l’attitudine era quella che cercavamo di recuperare.

 

Mescalina: Comunque, sia in tre che in cinque, nel corso del tempo i Marta sui Tubi conservano un’identità che resta ben definita e riconoscibile. Parafrasando i CCCP, restate fedeli alla linea anche quando la linea non c’è, in quanto non avete una vera e propria linea da seguire.

 

Giovanni: Dal punto di vista compositivo noi siamo sempre stati molto liberi, facciamo le cose che ci va di fare senza pensare troppo al dover fare un album di un particolare genere, non abbiamo mai fatto questo tipo di ragionamenti. Non abbiamo mai pensato: adesso facciamo un disco blues o un disco rock o punk. Lasciamo semplicemente che la nostra ispirazione prenda il sopravvento e sono le canzoni che vengono fuori che poi ci dicono come devono essere prodotte. È un po’ come quando ti siedi a un tavolo per una partita a carte. Ogni album è un giro di carte diverse. C’è la mano in cui ti escono i quattro assi, altre in cui devi fare un gioco diverso, altre in cui devi pescare la carta nuova e altre in cui ti ritrovi il poker servito. Abbiamo tante influenze diverse, ognuno di noi ascolta tantissima musica diversa e, quindi, quando ci mettiamo lì a jammare vengono fuori le cose più disparate. Non abbiamo una direzione.

 

Mescalina: Forse è anche per questo che non avete mai vissuto un momento in cui siete stati veramente di moda, come a volte capita ai gruppi con il loro primo album. Siete andati crescendo nel tempo in modo graduale.

 

Giovanni: Beh, il nostro primo album ha avuto un discreto successo, soprattutto di critica. Poi, pian piano, è arrivato il pubblico. Non ci sono state delle impennate, tranne forse l’anno di Sanremo. È sempre stata una crescita maturata soprattutto con il passaparola. La gente che consigliava i Marta all’amico, che magari ci veniva a ad ascoltare dal vivo e siamo andati avanti così, stiamo andando avanti così ancora adesso.

 

Mescalina: Soprattutto per quest’ultimo album l’apporto dei fan, attraverso Musicraiser, è diventato anche produttivo e artistico, ad esempio per la realizzazione della cover dell’album o i testi scritti a mano all’interno del booklet. Quanto è importante questo rapporto proprio diretto con il pubblico?

 

Giovanni: Direi che i fan stanno al centro di tutto. Al di là che tu faccia una campagna di crowdfunding o meno, alla fine sono i fan che vengono ai tuoi concerti e sono loro che comprano i tuoi dischi. Quindi, se non hai un rapporto con loro poi si disaffezionano a te come artista. Non è più come negli anni ’90, quando l’artista poteva anche non farsi vedere e non parlare mai con i fan. Oggi ti scrivono sulla pagina personale e pretendono delle risposte, se te la tiri troppo va’ a finire che fai solo la figura del fighetto e a noi non interessa. Siamo persone molto tranquille e noi per primi siamo fan di altri artisti e, quindi, capiamo i nostri fan. E come a me piace l’idea di poter incontrare o dialogare con qualcuno dei miei artisti preferiti, a loro piace l’idea di poter avere un rapporto più stretto con noi. E il crowdfunding è lo strumento perfetto per stabilire un coinvolgimento, una connessione, una linea più stretta con chi ti segue da tanto tempo. Quindi, diciamo che è stato un processo del tutto naturale. Poi, il fatto di chiedere ai fan di suggerirci una copertina o di trascrivere i testi per il booklet, in realtà sono cose che noi facciamo da sempre. Chi ci gira i video, i grafici che lavorano con noi o i fotografi che ci fanno i servizi fotografici, sono sempre dei nostri fan, anche se non hanno partecipato a una campagna di crowdfunding. A noi piace lavorare con gente che sia appassionata al progetto, raramente ci è capitato di commissionare un lavoro a qualcuno che non ci conoscesse. Cioè, il fotografo che fa le foto dei Marta, deve essere uno che conosce l’universo dei Marta, il regista che fa un video dei Marta deve essere uno che ha visto tutti i video dei Marta e che muore dalla voglia di fare il regista di un video dei Marta. Ci piace lavorare così.

 

Mescalina: E veniamo così al tema centrale dell’album, che è proprio l’incontro sotto le sue varie sfaccettature, come l’incontro con la morte de La calligrafia di Piero o quello con la vita di Niente in cambio. Quanto è importante l’incontro, non soltanto a livello musicale e artistico ma proprio nella vita? E perché avete scelto questo tema?

 

Giovanni: Il tema si è scelto un po’ da solo, nel senso che ci siamo accorti, mentre scrivevamo i testi, che si parlava sempre di rapporti con persone che hanno ricoperto un ruolo importante nella tua vita. Oggi c’è l’attitudine di evitare un po’ l’incontro, tutti noi tendiamo a risparmiarci parecchio. Sul web ci sentiamo in dovere, più che di comunicare con gli altri, di esprimere la nostra idea, a volte anche in maniera molto cinica. Sentiamo meno la voglia di capire e conoscere meglio, di condividere di più l’idea di qualcuno. E invece, fuori dal web, nella vita di ogni giorno la gente si parla sempre meno. Quando vado ai concerti di altre band, vedo che la gente guarda il palco, si fa i cazzi suoi e difficilmente c’è interazione. Stiamo un po’ perdendo la voglia di conoscerci, di capirci, anche dal vivo. Secondo me l’incontro è un’occasione fantastica di crescita, anche di maturazione nostra. Ogni volta che hai a che fare con qualcuno, anche col verduraio sotto cassa e senti la sua passione mentre ti parla delle cipolle che arrivano da una parte d’Italia, è un’occasione di crescita e maturazione insostituibile. Quindi, il tema dell’incontro in qualche modo è anche uno stimolo a capirci e conoscerci di più.

 

Mescalina: Come dici tu, oggi è come se si ricercasse l’incontro virtuale ma si avesse poi paura dell’incontro reale, del mescolarsi, dell’entrare in contatto vero e proprio.

 

Giovanni: Esatto. Poi c’è la tendenza sui social alla critica distruttiva, più che alla critica costruttiva. Molta gente si sente in diritto di dire la sua, pur non conoscendo in maniera approfondita l’oggetto della discussione. Tutti siamo più attratti dal fatto di esprimerci piuttosto che di comprendere. Ed è una cosa inedita. Perché, quando non c’erano i social, prima di dire la tua dovevi in qualche modo capire di cosa si stesse parlando. Oggi tutti ci sentiamo dei personaggi, basta una bella foto su una pagina facebook e automaticamente sei un personaggio. Quindi assumi delle attitudini comportamentali che non sempre sono quelle più sane per un rapporto normale.

 

Mescalina: E qui arriva Da dannato, in cui mandate a quel paese chi critica senza conoscere. Quando l’avete scritta pensavate a qualcuno in particolare?

 

Giovanni: No, nessuno in particolare. È dedicata semplicemente a coloro che, ancor prima di conoscere, criticano in maniera anche brutale e selvaggia. Penso a quelle pagine che ti sparano queste notizie bufala e la gente non va neanche a leggersi l’articolo, gli bastano due righe per esprimere la propria idea, perché è più importante dire la propria che conoscere ciò di cui si sta parlando.

 

Mescalina: Nei vostri testi manca o, comunque, è abbastanza velato ogni riferimento all’attualità nel senso stretto del termine, restate sempre all’interno della sfera emozionale.

 

Giovanni: A me piace l’idea di scrivere delle canzoni che possano essere attuali anche tra qualche anno. Se inizi a parlare di whatsapp o di facebook magari tra dieci anni nessuno saprà più cosa sono queste cose. Non ti puoi riferire a strumenti, a oggetti o ad accadimenti storici attuali, perché lasciano il tempo che trovano, inevitabilmente dopo qualche anno questi riferimenti sono obsoleti e anacronistici, non servono più. Non ci interessa avere dei riferimenti precisi per quello che riguarda l’attualità, ci interessa parlare dei rapporti interpersonali, del sentire individuale in base al periodo storico in cui viviamo ma senza fare troppi riferimenti.

 

Mescalina: Tornando al tema dell’incontro, quali sono gli equilibri all’interno del gruppo e come riuscite a coniugare le varie parti?

 

Giovanni: Non è cambiato molto rispetto agli esordi, nel senso che ognuno dà il proprio contributo. Io mi occupo più dei testi, Carmelo dei riff e Ivan delle variazioni ritmiche, però molto spesso ci incrociamo. Magari io arrivo con un’idea di canzone già imbastita o la stessa cosa può fare Carmelo con un pezzo che ha già chitarra e voce ma a cui manca un ritornello o una chiusura. Ci interfacciamo parecchio sul nostro lavoro, molti pezzi nascono proprio in saletta con delle jam, altri pezzi possono venire fuori da ritmi particolari di batteria. Non c’è mai una “ricetta”, ognuno di noi lavora anche individualmente, si registra a casa i propri provino e quando siamo insieme questi spunti individuali possono anche diventare qualcosa di molto diverso da ciò che erano originariamente o possono anche essere messi da parte. Oppure possiamo pescare da vecchie registrazioni e riprendere cose che avevamo lasciato a metà. Per fortuna, ognuno di noi è abbastanza creativo da portare delle proprie idee, che poi vengono mediate e frullate dal nostro gusto.

 

Mescalina: Guardandola dall’esterno, pezzi come Qualche kilo da buttare giù o Rock+Roipnoll sembrano il frutto di Carmelo, mentre Niente in cambio sembra più tua.

 

Giovanni: E invece no. Qualche kilo da buttare giù era un provino che avevo fatto io a casa, Rock+Roipnoll è un testo che ho scritto interamente io su una base che è il frutto di tipo quattordici riff diversi tirati fuori un po’ da me, un po’ da Carmelo, un po’ da Ivan. Quindi, i riferimenti non sono sempre quello che sembrano.

 

Mescalina: Voi siete una band che ai concerti fa la sua bella figura. Questo disco com’è suonato dal vivo?

 

Giovanni: Beh, il live è sicuramente una parte centrale della nostra attività e ci teniamo a fare dei bei concerti, quindi dedichiamo molto tempo alle prove e il lavoro che vedete dal vivo è il frutto di tanto lavoro. Chiaramente, far suonare in tre la nostra band in maniera convincente è anche merito del lavoro dei fonici e dei tecnici che ci portiamo dietro. Di base siamo batteria, chitarra acustica e voce, quindi abbiamo bisogno di bravi tecnici che rendano il suono più corposo, più rotondo e che non faccia sentire la mancanza del basso o di altre cose. Per noi non è importante avere altri strumenti sul palco, l’importante è che il suono sia profondo e completo. Poi, per qualche strano miracolo dal vivo noi ci divertiamo ancora come pazzi e, quindi, se ti diverti sul palco inevitabilmente fai divertire pure gli altri. Ci piace fare dei live in cui anche il rapporto con il pubblico sia abbastanza frizzante, non ci piace l’idea di salire sul palco, fare il nostro lavoretto e andarcene via. Ci piace, appunto, che ci sia uno scambio emotivo forte tra noi e il pubblico, per questo diamo tutto quello che abbiamo. Inevitabilmente, i nostri concerti finiscono che nel camerino ci strizziamo le mutande.