D.fincher

D.fincher PANIC ROOM


2002 » RECENSIONE |
Con J.Foster, K.Stewart, F.Whitaker, D.Yoakam

di Elena Cristina Musso
Meg Altman é una giovane donna che ha appena divorziato dal marito, ricco industriale farmaceutico che può permettersi, perciò, di pagarle l’affitto per una casa immensa e signorile nel cuore di Manhattan. La donna e sua figlia Sarah vi si stabiliscono dopo averla visitata con un agente immobiliare che gliene mostra ogni angolo, compresa una stanza segreta super blindata, la panic room appunto, costruita come rifugio in caso di intrusioni indesiderate. E l’intrusione, puntualmente c’é e, guarda caso, proprio durante la prima notte in cui Meg e sua figlia dormono nell’abitazione. Ad entrare, convinti che la casa sia ancora disabitata, sono tre uomini che, per ragioni diverse, vogliono impossessarsi di una straordinaria somma di denaro chiusa in una cassaforte di cui le nuove inquiline non immaginano l’esistenza. Ovviamente la donna e sua figlia, non appena si accorgono degli intrusi, si rifugiano nella panic room, attrezzata di videocamere collegate con ogni angolo della casa, di provviste di acqua potabile, di una linea telefonica autonoma, ma non ancora attivata e di tutta una serie di accorgimenti per rendere sicuro e inaccessibile il nascondiglio. Ma Meg e Sarah non sanno che ciò che i tre malviventi cercano si trova proprio in quella stanza. Così, fra tutta una serie di imprevisti, compresa una crisi diabetica di Sarah, inseriti nella sceneggiatura col preciso scopo di far saltare gli spettatori sulle poltrone, si arriverà alla non troppo sorprendente conclusione.
Il film rispetta scrupolosamente i classici canoni del thriller e, forse, proprio per questo, in alcuni momenti risulta un po’ troppo scontato e certi particolari inseriti nella storia in modo un po’ forzato. Ma la straordinaria regia di David Fincher - che conosciamo per film quali “Alien 3” del ‘92 e “Seven” del ’95 - fa perdonare qualsiasi cosa. L’impeccabile talento del regista si apprezza soprattutto là dove la storia propone situazioni al limite del prevedibile rischiando di allentare la tensione. La macchina da presa ci regala momenti di autentica vertigine correndo spericolatamente attraverso ogni angolo della casa, insinuandosi persino nei buchi delle serrature o nelle intercapedini. E con la stessa maestria indaga sui volti degli attori cogliendone ogni cambiamento emotivo. Jodie Foster nella parte della protagonista regala all’interpretazione del ruolo tutta la forza della sua espressività, caricando di tensione ogni suo gesto, dando vita ad un personaggio fragile ma capace di impennate di imprevedibile forza, in alcuni momenti non solo interiore. Degne di nota le interpretazioni di Forest Whitaker – che ricordiamo fra l’altro ne “La moglie del soldato” - nel ruolo di Burnham, il “buono” fra i tre malviventi, spinto al crimine dalla necessità e, perciò, completamente diverso dallo spietato complice Raoul, interpretato da un bravissimo Dwight Yoakam, che pur con il volto coperto da un passamontagna per buona parte del film, riesce a costruire un personaggio che rivela la sua natura più crudele solo attraverso i gesti e l'intensità dello sguardo.
E’ un film in cui le vere emozioni ci sono date dalla perfezione di una regia straordinariamente moderna anche se evidentemente influenzata da Hitchcock, in assoluto, maestro del genere.